Il Bastone del Potere è il simbolo dell’asse di connessione fra i solstizi: il potere del Sole, della Forza Vitale, concettuale, maschile e il potere della Terra, della forza femminile, creativa, nutrice. La Bacchetta è un’estensione del braccio e viene usata per concentrare l’energia in un punto oppure per trasferirla e indirizzarla, per tracciare simboli e definire lo spazio del cerchio magico (attira, dirige e respinge le energie). Spesso essa si collega all’elemento Fuoco, di cui manifesta l’energia di trasformazione e purificazione. Altre volte la Bacchetta è invece connessa all’elemento Aria. Può essere utilizzata per pratiche di guarigione finalizzate al recupero dell’integrità e dell’interezza del Sé.

Sia il Bastone del Potere che la Bacchetta sono creati a partire dal ramo di un albero scelto con cura in base alle caratteristiche che si vogliono imprimere nell’oggetto, in quanto portatori della “medicina” specifica di quell’albero. Ogni albero possiede delle caratteristiche peculiari e veicola determinati tipi di energia, quindi, a seconda del legno usato nella costruzione della Bacchetta, essa avrà qualità differenti. Ogni Bastone del Potere/Bacchetta è “vivo/a”, in quanto mantiene in sé lo spirito della pianta utilizzata per realizzarlo/a. In genere per la costruzione di una bacchetta si predilige il legno di nocciolo e di una pianta appartenente alla stessa famiglia, ma i legni sacri sono numerosi e le loro qualità determinano le peculiarità di ogni Bastone o Bacchetta.

Uno dei momenti più adatti per trovare il ramo adatto della pianta scelta è la sera dopo il tramonto quando c’è Luna Piena. La lunghezza ideale della Bacchetta è quella equivalente alla distanza tra il gomito e il dito medio (circa 30 cm), mentre il suo diametro non deve superare quello del dito pollice. Nella tradizione druidica si ritiene che possano essere recisi unicamente i rami di un albero che abbia già dato frutti, ma questa non è una regola ferrea, in quanto esistono altre scuole di pensiero, alcune delle quali affermano esattamente il contrario. Per i drudi, la fertilità aveva un ruolo fondamentale nel definire ciò che poteva essere considerato sacro, mentre per le popolazioni mesopotamiche ad essere discriminante era la verginità. Un albero giovane, che ancora non aveva fruttificato, era ritenuto quindi più sacro e più puro, concetto questo che per altri popoli era estraneo, in quanto un albero privo di frutti era ritenuto sterile. Questo avviene perché ogni popolo segue la propria tradizione, in base al luogo di provenienza. Ritengo che a tal proposito si possa far affidamento sul proprio sentire personale, che può esserci d’aiuto anche nella scelta del legno da impiegare. Infatti, in base alla pianta utilizzata per la costruzione del Bastone o della Bacchetta, cambieranno le qualità sottili del nostro strumento. E’ bene quindi avere le idee chiare su il tipo di energia che vogliamo richiamare e formulare un intento specifico per poter effettuare la scelta. Possiamo basarci sulle sensazioni che ci arrivano da un determinato albero e affidarci all’intuito, che costituisce la nostra bussola. La costruzione/consacrazione comincia nel momento in cui si individua un albero, lo si osserva e si percepisce la sua energia per capire se può essere adatto, lo si nutre per creare un legame con lui. Il rito, dunque, comincia con questa scelta.

Ad ogni modo, prima di praticare l’incisione al fine di prelevare il ramo, è necessario fare un’offerta all’albero e una preghiera, ringraziando e chiedendo il permesso allo spirito della pianta, in modo tale che sia lei stessa a indicare il punto preciso dell’incisione. In questa maniera ci si assicura che lo spirito dell’albero non si ritiri dal ramo prima del taglio e che la pianta stessa offra in dono uno dei suoi rami con benevolenza.  Il taglio deve essere netto e deciso, in modo da provocare meno stress possibile alla pianta. E’ bene instaurare un rapporto personale con l’albero dal quale si preleva il ramo, tornando anche in seguito a visitarlo, offrendogli acqua, tabacco o fertilizzante. Infatti esso è la fonte del potere collegato alla Bacchetta, che assumerà caratteristiche diverse a seconda del legno scelto per la sua realizzazione.

Generalmente la Bacchetta presenta un’estremità con un più ampio diametro (il manico), che rappresenta l’energia maschile e un’estremità con un diametro minore (la punta), che simboleggia l’energia femminile. In seguito il ramo è sottoposto a un lavoro di scortecciatura ed incisione; spesso si intaglia nel legno o si dipinge la figura dell’animale di potere del proprietario, cosicché lo spirito dell’animale possa infondere la sua medicina all’oggetto. Quest’ultimo può essere decorato con pietre e cristalli, ad indicare il potenziale della Bacchetta per concentrare e dirigere l’energia radiante. Inoltre, il cristallo può trattenere ed equilibrare l’energia in esso accumulata e rifletterla senza alcuna distorsione. La Bacchetta è, dunque, un mezzo per riarmonizzare e concentrare l’energia, dirigendola secondo la volontà del proprietario. Altre decorazioni presenti possono essere piume, pendagli, campanelli, ossa, che tintinnano con dolcezza quando vengono scossi, a sottolineare le qualità della bacchetta come strumento creatore di armonia e come riequilibratore. Prima di iniziare ad usare il proprio strumento, è necessario praticare un rituale di benedizione e consacrazione al fine di vivificare la Bacchetta o il Bastone, che divengono esseri vivi, dotati di spirito.

 

Proprietà magiche degli Alberi

Betulla

La Betulla è collegata alla luna per il candore della sua corteccia. Rappresenta la Grande Dea nel suo aspetto lunare e materno ed è il simbolo della nascita, dei nuovi inizi. Nel grembo della luna piena tutto ha inizio e tutto ritorna. La Betulla è lo spirito della generatrice che rende fertile la terra, è la donna che dà vita alla sua creatura, sia essa un figlio o il frutto dell’ispirazione. Il suo amore è inesauribile. Quest’albero è sacro alla Dea Brigid, Signora del Fuoco Triplice e dell’Acqua, il cui nome contiene la radice birgh, che vuol dire “betulla”. Sia la Dea che la betulla erano celebrate nel sabbat di Imbolc (2 febbraio), il momento della ruota dell’anno in cui si onora la manifestazione e il nuovo inizio. Infatti, in questo periodo la vita sotto la superficie della terra e i semi iniziano a destarsi per poter poi uscire in superficie. Imbolc è anche il tempo della purificazione in cui si lasciano indietro i legami col passato. Infatti da sempre la Betulla è stata impiegata nei rituali di purificazione. Sono di rami di questa pianta le scopine utilizzate per le pulizie energetiche e un tempo si riteneva che fustigandosi con tali rami il male potesse uscire dal corpo. Inoltre, venivano impiegati in piccoli fasci da appendere sopra le culle per proteggere i bambini nel sonno.

L’alfabeto celtico degli Ogham veniva tradizionalmente inciso sul legno di Betulla, che era considerato l’albero della conoscenza e della protezione del sapere. Si era soliti incidere la prima lettera di tale alfabeto, la B, su legno di betulla da utilizzare come un talismano. La stessa pratica veniva effettuata dai popoli norreni incidendo la runa Berkana, che ha origine dalla Betulla e assomiglia a una B, perché indica i seni della Grande Madre (la protezione nel suo buio ventre). Nello Sciamanesimo siberiano, questa pianta è considerata l’axis mundi che unisce il Cielo alla Terra ed è lungo questo asse che gli sciamani si muovono per visitare il Mondo di Sopra e quello di Sotto.

La Betulla è anche la pianta dell’amore sincero e del mantenimento dei legami. Il palo di Beltaine è tradizionalmente di Betulla. I rami flessibili possono essere regalati a chi soffre di depressione o a chi ha un atteggiamento rigido nei confronti della vita. Ella è la prima creatrice, la nutrice dai seni da cui esce il latte, la Madre dei boschi. E’ Colei che difende l’armonia, la Bianca Signora che prepara la terra alla rinascita. E’ lo spirito femminile della luna.

 Biancospino

Il legno di Biancospino aiuta a sviluppare presenza e concentrazione, aprendo il cuore e favorendo la risoluzione dei conflitti interiori. I rami di questa pianta incantata, irti di spine, sono un simbolo di protezione e in primavera si ricoprono di delicati fiori bianchi, particolarmente graditi agli abitanti del Piccolo Popolo, che amano intrattenersi nelle sue vicinanze. E’ la pianta della speranza e della Buona Sorte.

Il Biancospino viene associato ai riti della rinascita di primavera, particolarmente Beltaine (1 maggio), all’amore puro, alla fertilità, alle unioni. Infatti l’unione del femminile e del maschile è propria dell’essenza di questa pianta, che affianca ai delicati fiori le pungenti spine.

Il Biancospino è sacro alla Grande Dea nel suo volto di Vergine Cacciatrice, la quale governa e difende la Natura e gli animali, che al suo cospetto diventano docili. E’ la Dea che conserva l’armonia di luce ed ombra. Questa pianta ha un’essenza femminina libera, indomita e istintiva. Un’essenza caotica, intendendo con questo termine qualcosa di sconosciuto, non ordinato, non catalogabile dalla mente umana e più vicino invece all’anima. Presso i Celti, il Biancospino era definito “terribile” , a indicare la paura di fronte a quello che non conosciamo e che ha un grande potere. Questo popolo riteneva che le fate e gli spiriti del bosco abitassero il Biancospino, per cui era vietato tagliarlo. I rami potevano essere colti solo a Beltaine, l’unico giorno in cui le fate non si sarebbero adirate. Ovunque compare, questa pianta è segno della presenza di queste piccole creature e quindi anche di una porta su un altro mondo, sulle dimensioni sottili.

Si crede che quest’albero non venga mai colpito dai fulmini, per cui i suoi rami sono usati per proteggersi dal fuoco celeste. Inoltre, nella tradizione popolare si era soliti appendere dei rametti di Biancospino sulle porte delle abitazioni, sopra il latto o nelle stalle come forma di protezione e buon auspicio. In questo modo, poi, veniva assicurata la protezione delle fate. E’ il guardiano delle fonti d’acqua. In Irlanda le fonti sacre erano circondate da Biancospini, ai quali veniva tributata offerta perché lo spirito dell’albero desse la sua benedizione. A Roma quest’albero era sacro per molte divinità femminili come Flora, la Dea della vegetazione, oppure Maia, Regina del mese di maggio. Quest’ultimo era considerato il periodo delle purificazioni, da qui anche la castità. Il Biancospino rappresenta la purezza. Il Cristianesimo consacrò quest’albero alla Madonna, nella cui figura confluirono le precedenti Dee. Esso ha una forte connessione con la dimensione onirica e il sogno.

Il suo nome in islandese significa “spina dormiente”. Il fuso con cui si punge Rosaspina ne “La bella addormentata” era di Biancospino. Secondo una leggenda, Merlino fu trasformato in questa pianta da Viviana e pare che ancora stia dormendo sotto questa forma. Thomas il Rimatore si addormentò sotto un albero di questo tipo quando incontrò la Regina delle Fate, che lo condusse nell’altro mondo. Da queste e numerose altre leggende traspare il potere del Biancospino di indurre un sonno fatato che conduce nei regni sottili. Esso è un passaggio verso le altre dimensioni, normalmente non accessibili alla mente razionale. Quest’albero protegge coloro che dormono e veglia sul loro sonno; essi possono lasciarsi liberi di sognare e visitare le altre dimensioni. Eppure, è un albero imprevedibile, indecifrabile, come le fate: può offrire protezione e doni oppure respingere e punire con le sue spine. La complessità delle sue ramificazioni rimanda all’inconoscibile. L’intrico caotico dei rami nasconde una preziosa sapienza, che può essere afferrata solo da chi si abbandona con fiducia alla sua ombra per dormire e sognare.

Castagno

Il Castagno è un albero generoso e accogliente, ci parla della stabilità e del calore familiari, del cuore aperto. L’energia di questa pianta è sottile, in continuo fermento. Essa ha la capacità di connettersi con le viscere della Terra e con la Luce ivi racchiusa, portandola alla superficie. Il Castagno è perciò un albero della Luce, una creatura magica che riesce a sopravvivere in un mondo incapace di ascoltare il suo linguaggio. Il Castagno resiste, non perde la sua grandezza, è sempre amichevole e le forme di vita della Natura lo adorano: fra i suoi rami vivono moltissimi insetti, uccelli e piccoli mammiferi, oltre che numerosi esseri elementali. Le sue mille voci ci mormorano segreti che provengono da altre dimensioni, memorie cosmiche, melodie antichissime.

 Ciliegio

La bellezza del Ciliegio è pari alla sua delicatezza: i suoi fiori hanno una breve vita e i petali vengono facilmente sparsi dal vento, il loro profumo leggero. Queste caratteristiche potrebbero farci pensare alla fragilità di questo albero, ma anche a una simbologia connessa alla rinascita, alla bellezza dell’esistenza. La sua abbondante fioritura in concomitanza con Ostara lo rende un fiore particolarmente adatto per addobbare gli altari e le chiome per il sabbat. Negli antichi testi magici, il succo delle ciliegie è un sostituto accettabile del sangue. Sempre il frutto o il suo succo sono utilizzati per ravvivare la passione o attirare l’amore. Una bacchetta di Ciliegio è ottima per la divinazione, per inseguire alti ideali e per la magia d’amore.

Edera

L’Edera fiorisce nel mese di ottobre. E’ il simbolo arcaico di Dioniso, Dio del trasporto mistico, che veniva raffigurato con una corona di Edera e un tirso intrecciato con questa pianta. Uno dei modi in cui il Dio veniva chiamato è Kissòs, che vuol dire “Edera”. In un mito questa pianta salva Dioniso dal fuoco scatenato dai fulmini di Zeus, avvolgendone il corpo. In un altro mito, il figlio del Dio morì davanti a lui mentre stava danzando e la Dea Gea, la Madre Terra, si impietosì dinnanzi alla scena, trasformando il ragazzo nell’Edera. Essa era associata al serpente, potenza ctonia per eccellenza, il cui movimento sinuoso ricorda quello dell’Edera. Nel culto dionisiaco, veniva messa in luce l’equivalenza tra la pianta e i serpenti che ornavano la capigliatura delle Menadi, sacerdotesse di Dioniso. Questa pianta ha un’essenza protettiva e materna. E’ connessa al movimento e al simbolo spirale, cioè alla perenne rotazione, alla danza della vita nel suo moto continuo. Inoltre, l’Edera rimanda al simbolismo della rinascita, del rinnovamento e dell’evoluzione. I Greci utilizzavano corone di Edera durante i rituali misterici in onore di Dioniso. Ivi, il vino veniva usato come bevanda sacra, capace di far raggiungere uno stato di trance e di far comunicare con la Divinità. Infatti, si riteneva che l’Edera potesse mitigare il vino e contrastare la sonnolenza causata dall’alcol, facilitando così uno stato di espansione dei sensi e della coscienza, fino a raggiungere la comunione col Dio.

Nella tradizione celtica, l’Edera è un’importante pianta magica contro gli spiriti maligni. Inoltre, rimanda all’ebbrezza sacra, che porta in contatto con le parti più profonde di se stessi e indica la spinta alla ricerca della propria anima. Infatti, questa pianta era utilizzata per ottenere le visioni nei rituali dei Druidi, soprattutto durante il sabbat di Samhain, quando i veli tra i mondi si fanno più sottili ed è possibile ottenere visioni profetiche e fare vaticini.

La sua natura ctonia la fa essere una pianta femminile, legata alla Madre Terra. Aiuta chi vuole intraprendere un cammino di conoscenza interiore e chi vuole iniziare un processo di rinnovamento radicale. Cura le ferite interiori. Per la capacità dell’Edera di utilizzare tenacemente ogni appiglio per proseguire la sua corsa verso l’alto e la luce è da secoli simbolo di longevità, di amore tenace, di fedeltà. Questa pianta protegge e procura l’amore e favorisce il concepimento. Inoltre, essa è simbolo di pazienza per la sua capacità di ricoprire ogni cosa con lentezza e costanza. L’Edera ci insegna la natura dell’amore e del fascino, intrecciando sinuosa la propria danza; ogni voluta dei suoi tralci è un legamento. Ha la proprietà di riconnetterci al bambino interiore, alla sua purezza e innocenza. Per questo motivo si ritiene che l’Edera protegga i bambini, di cui preserva le qualità, in quanto molto amata dalle fate.

 Frassino

Il Frassino, pianta sacra ad Odino, è legato al Sole e al Fuoco. La sua estensione, che tende sia verso l’alto e la luce solare sia verso il basso e la terra, dove si diramano le profonde radici, lo rende un albero luminoso e al contempo oscuro, celeste e infero. Perciò esso pone in comunicazione questi due opposti e funge da mediatore.  Nella tradizione norrena, il Frassino è l’axis mundi, il supporto originale del mondo, associato al mito della creazione. E’ Yggdrasill, l’albero sotto le cui radici abitano le tre Norne e al quale viene appeso Odino per ricevere la sua iniziazione. L’asse del mondo per le popolazioni nordiche collegava Cielo, Terra e Inferi. Tre grosse radici partivano dal suo tronco, diramandosi in tre differenti direzioni e ognuna conduceva a un luogo dove c’era una fonte: il regno degli Dei Celesti, presso la cui fonte abitavano le Signore del Destino; la terra dei giganti di brina con la magica fonte Mimir, la cui acqua donava conoscenza; il luogo celeste dove gli Dei si riunivano in tribunale, nei pressi di una terza fonte. Yggdrasill è l’albero della saggezza e rappresenta l’equilibrio, il centro del mondo. Odino fu iniziato alla conoscenza venendo appeso a testa in giù per nove giorni e nove notti a un ramo dell’albero cosmico. Grazie a questo passaggio, egli ricevette il sapere collegato alle Rune. Per questo il Frassino è simbolo di rinascita e trasformazione. Esso insegna a lottare contro le avversità e a riconoscere e accettare il valore del sacrificio, dischiudendo il proprio potere a chi sa offrire se stesso con coraggio.

Questa pianta per i Celti governava i passaggi, come quello dall’infanzia all’età adulta. E’ l’albero delle iniziazioni e si collega anche all’elemento Acqua, unendo le sue caratteristiche maschili a quelle femminili. Veniva usato per la costruzione delle navi perché proteggesse la navigazione. Nella tradizione popolare, il Frassino veniva impiegato per propiziare la buona salute dei bambini tramite i fumi del suo legno bruciato e per proteggerli. Infatti, quest’albero ha la caratteristica di allontanare gli spiriti malevoli e i serpenti, tanto che molti magici bastoni erano costruiti con esso. Per la sua capacità di crescere in luoghi e condizioni climatiche avversi e per la robustezza del suo legno, è considerato un efficace mezzo di protezione contro le energie dense, avendo inoltre una funzione di purificazione. Secondo la tradizione della stregoneria europea, quest’albero è considerato il migliore per realizzare bacchette e talismani di salute e guarigione. La sua natura maschile e femminile lo rende un mediatore tra le polarità, capace di ristabilire l’armonia e di portare equilibrio. E’ il sole e la luna, l’oro e l’argento insieme. Rappresenta la manifestazione vegetale di tutto ciò che esiste sopra e sotto, dentro e fuori, mostrando la bellezza dell’unione universale.

Melo

In tutte le antiche civiltà c’è sempre stata una qualche connessione tra il Melo, il suo frutto e le divinità femminili legate alla bellezza, alla fertilità e ai Misteri dei cicli di morte e rinascita. E’ infatti un albero sacro alla Grande Madre. Presso i Greci,  i Romani  e i Celti, la Mela era considerata un frutto magico, in grado di donare grandi conoscenze e rivelazioni sia sul mondo conosciuto che su quelli sottili e invisibili, aiutando ad entrare in contatto con essi. Quest’albero è il depositario della conoscenza che proviene dai regni sottili e il suo frutto è il simbolo dell’altromondo, poiché cibandosi di esso possiamo espandere le nostre percezioni e sperimentare gli stati dell’essere che ci mettono in comunicazione col Divino. La Mela rappresenta quindi il nutrimento spirituale e si collega al regno delle fate. Secondo le leggende, un solo morso poteva condurre a varcare il confine del mondo conosciuto e ad esplorare i reami incantati, poiché esso ha il potere di risvegliare la visione e la percezione sottile. Inoltre, si diceva che questo frutto potesse guarire il corpo e la mente, collegandosi all’eterna giovinezza e all’immortalità. I suoi doni conducono alla consapevolezza dell’eternità dell’anima e dell’inesistenza del tempo. Il Melo era strettamente connesso ad Avalon (“isola delle Mele”), luogo incantato dove vivevano le sacerdotesse della Dea, dedite al suo culto. Ivi fu condotto Artù al momento della sua morte dalla sorella Morgana, grande sacerdotessa dell’isola. Questa Dea incarna il potere di vita, morte e rinascita e condivide col sacro frutto dell’albero le caratteristiche magiche. La Mela rappresenta la guida del cammino e la sua realizzazione, il viaggio in altre dimensioni e il percorso stesso del camminare. Tale viaggio si compie attraverso le acque, come quelle che circondano Avalon. La connessione tra il Melo e l’Acqua rende quest’albero una porta verso le dimensioni sottili, essendo capace di influenzare le emozioni e di suscitare particolari stati dell’essere.

Per la tradizione druidica, il Melo veniva considerato un albero “del mondo che sta oltre i mondi”. Nella Mela, per le popolazioni pagane, era quindi presente una dicotomia: frutto della vita, ma anche frutto della morte. Essa era vista come l’essenza manifesta della Divinità femminile: portatrice di amore, bellezza e fecondità ma, al contempo, rappresentava il mistero del ciclo di morte e rinascita. Per questo motivo si era soliti offrire una Mela agli spiriti dei defunti, in quanto questo frutto, come l’intero albero, possono essere considerati delle porte tra i mondi. Tagliando una Mela perpendicolarmente al suo picciolo, scopriamo che ciascuna metà rivela l’immagine di una stella a 5 punte inserita in un cerchio: simbolo del sapere e della conoscenza, immagine dell’uomo consapevole e in armonia con gli Elementi che lo compongono e che compongono il mondo che lo circonda. Tagliata verticalmente, la Mela rivela un disegno che ricorda la vulva, richiamando perciò l’essenza femminile. E’ il frutto della Dea in quanto donna e della donna in quanto manifestazione della Dea in Terra. Questo è il motivo per cui nei miti e nelle leggende questo frutto è offerto sempre da magiche figure femminili, fate, Dee, Regine dei regni incantati. I colori della Mela richiamano quelli sacri della Dea: il rosso della buccia rimanda alla Madre, il bianco della polpa alla Fanciulla e il nero dei semi all’Anziana. La Mela era considerata un magico strumento per oltrepassare il velo del visibile ed incontrare spiriti ed entità fatate, di cui si potevano ascoltare i messaggi. Era ritenuta un frutto di morte e rinascita per la sua capacità di avvelenare e rigenerare. Era il frutto delle iniziazioni perché conferiva la conoscenza a chi fosse stato pronto a sacrificarsi, sperimentando la morte (si pensi, ad esempio, alla favola di Biancaneve).

Siccome il Melo ha la proprietà di aprire dei varchi tra questa e le altre dimensioni, si era soliti mettere delle mele sulle tombe dei defunti, per favorire il loro viaggio verso l’aldilà e si pensava che i bambini non ancora nati utilizzassero la porta dei Meli per giungere in questo mondo. Per questo motivo in Scozia, al tempo della raccolta dei frutti, alcune mele venivano lasciate sugli alberi. Il legno di Melo è il più indicato per ricavarne bacchette da dedicare ai lavori col il popolo fatato. Essendo l’albero sacro ad Afrodite, il Melo si utilizza nei rituali d’amore e favorisce i legami amorosi. Questa pianta si collega all’antica sapienza delle donne e rappresenta il cammino iniziatico. L’intero percorso della vita è contenuto nel suo frutto, simboleggiato dai suoi colori. I semi richiamano la morte, che tuttavia conduce alla rinascita e alla rigenerazione. Sono il simbolo della nostra origine nel sacro ventre della Dea, che ci ha generati e alla quale ci ricongiungeremo nella morte per poi nascere nuovamente.

Nocciolo

Il Nocciolo è l’albero dei desideri puri e la sua magia aiuta a scovarli nel profondo di se stessi, esprimendoli affinché vengano realizzati. Sono i desideri dell’anima, quelli non toccati da interessi personali, che il magico albero ascolta e aiuta a realizzare. Porta a cercare il lato nascosto e profondo delle cose ed è legato alla Luna: è per queste proprietà che viene utilizzato dai rabdomanti nella ricerca delle vene d’acqua sotterranee. Per via della capacità di emettere molto polline e quindi di riprodursi con rapidità, il Nocciolo è simbolo di fertilità e rigenerazione, di amore e dell’unione degli amanti. Presso i Celti, il Nocciolo era l’albero della più elevata saggezza, che nasce dalla presa di coscienza della propria origine, della nostra natura animica. In questa pianta risiede la Conoscenza senza tempo, in particolare nei suoi frutti, tramite i quali dona la Visione e l’ispirazione poetica. La Nocciola, infatti, è simbolo del Cammino di ricerca interiore, che richiede di spogliarci della dura corazza dei nostri personalismi, la superficie resistente: è maestro nella ricerca di quel nucleo immutabile e luminoso che, come una Nocciola privata del guscio, dona nutrimento, intuizione e veggenza. Nelle leggende irlandesi si narra di un magico Nocciolo a nove fusti che sorgeva presso la pozza di Connla, nella quale viveva un salmone incantato. Poiché si cibava di nocciole, questo pesce era detentore dell’antica Sapienza.

La conoscenza che il Nocciolo conferisce è quella della vita e delle sue fondamenta, custodite nelle profondità della terra e nel ventre della donna. Come tale, esso è datore di fertilità e abbondanza. Inoltre, il Nocciolo ci connette con lo spirito del nostro bambino interiore e con le sue qualità di purezza e innocenza. Esso è l’albero dell’eterna giovinezza, allontanando la vecchiaia intesa come decadenza dello spirito e spegnimento della scintilla di vita. Ci insegna a mantenere attivo uno sguardo di meraviglia sul mondo, liberi da schemi di pensiero limitanti, aprendoci al gioco proprio come fanno i bambini. In questo senso, il Nocciolo ci esorta a recuperare le qualità della nostra infanzia, a vedere la realtà con gli occhi della magia, comprendendo che la saggezza sta nel percepire il mondo oltre le apparenze della materia e i limiti della mente.

Pioppo

Per i Celti la morte non rappresentava la fine della vita ma solo un passaggio ad un’altra forma di esistenza, una porta verso un altro stato dell’essere che, quindi, implicava una rinascita. Il Pioppo è legato a questa concezione, essendo considerato un albero capace di guidare nel transito da questa a un’altra realtà, nel viaggio nell’oltretomba e nel ritorno a questa dimensione. Il rumore del vento tra le sue fronde ricorda il mormorio delle voci degli esseri fatati, che sussurrano messaggi. Per questo motivo, il Pioppo era considerato un albero messaggero e oracolare, l’intermediario tra i mondi, la voce incantata degli spiriti della Natura, colui che accompagnava nel viaggio verso l’oltretomba fino al ritorno in questa dimensione. Quest’albero ha una forte valenza protettiva, tanto che è entrato a far parte dei rimedi di Bach per la sua capacità di schermare psicologicamente ed emotivamente dalle influenze esterne negative. Rappresenta la forza che nasce dall’interno e che è alimentata dallo Spirito.

Per i Dakota rappresenta l’asse del mondo che unisce il Cielo alla Terra e per questo motivo è utilizzato come palo centrale nella Danza del Sole. Il Pioppo è collegato al culto della Grande Dea: la specie bianca e quella nera ne rappresentano i due volti. Da un lato, nella sua versione oscura, abbiamo la Dea della Morte, la Distruttrice, la luna nera; dall’altro, c’è la Dea della Vita, la Madre, la Nutrice, la luna piena. Il Pioppo nero era considerato l’ingresso al mondo dei morti ed era sacro ad Ecate.

Nella tradizione popolare si era soliti porre dei rametti di quest’albero all’ingresso delle case per allontanare la malasorte e proteggersi dal malocchio, oppure si mettevano sotto il cuscino per favorire i sogni. Il Pioppo rappresenta lo scudo che ci mette al riparo dalle ferite e da tutto quello che può nuocere alla parte più sensibile di noi. Con la sua forza e la capacità di rigenerarsi velocemente, questa pianta ci accompagna nei passaggi della nostra vita, che possono essere paragonati a una morte simbolica. E’ una delle voci della Grande Madre e ci guida nel viaggio che l’Anima compie per tornare a se stessa.

Quercia

La Quercia è un albero solare associato al fuoco e alla festa di Lughnasadh, la festa della luce, che corrisponde al nostro primo Agosto. Ad essa sono attribuiti il simboli della forza, della protezione e dell’energia cosmica. La longevità e l’imponenza della Quercia, insieme ai suoi tanti doni offerti all’uomo e agli animali, non poteva che ispirare agli Antichi grande rispetto, tanto da considerarla la presenza del Divino in Terra. Per i Celti era l’Albero degli Alberi, poiché le sue alte fronde toccano il cielo e le sue radici penetrano nella profondità del terreno. La Quercia era, per questo popolo, un albero cosmico, come lo era Yggdrasill, il frassino dei popoli del Nord Europa. Molte Genti indoeuropee associarono la quercia al Dio Creatore, il Padre celeste che risiede in terra.  Ai piedi di una Quercia, i Druidi amministravano la giustizia, i riti religiosi e divinatori. Questi sacerdoti derivano il loro nome proprio dalla Quercia, che rappresentava la saggezza e la conoscenza, la forza spirituale e la magia della terra. In questo senso, i Druidi, gli uomini-quercia, erano considerati completi e pieni di saggezza derivante dalla realizzazione del Sé.

E’ l’albero delle memorie perdute e dei ricordi passati, il narratore e il custode dei ricordi. Appoggiandosi al suo tronco si possono udire le voci degli antenati come se ci mormorassero nel vento che agita le fronde. La Quercia è il simbolo della realizzazione interiore. Il suo nome in gaelico – dair o duir –  vuol dire “porta”, in quanto essa veniva considerata un passaggio verso le dimensioni sottili, dove si possono incontrare gli Antenati. Col suo legno venivano costruiti i portoni di accesso alle case, affinché lo spirito dell’albero fungesse da protezione delle abitazioni, svolgendo la funzione di guardiano. Inoltre, quest’albero indica la massima forza e potenza nate dal raggiungimento dell’equilibrio e della completezza, incarna lo spirito della vegetazione rigogliosa, della crescita e della pienezza. La Quercia è legata al fulmine a causa delle scariche elettriche che si generano al suo interno e che la espongono a essere colpita da queste saette del cielo. Per tale motivo, essa si associa agli Dei celesti e alla “folgorazione divina”, cioè all’ispirazione, alla conoscenza improvvisa che apre a uno stato di coscienza superiore.

Quest’albero è sacro alla Dea Brigid, nel suo Triplice aspetto di donatrice della Fiamma Sacra. Tale legame sopravvisse anche quando la Dea celtica fu sincretizzata con Santa Brigida, come si può evincere dal fatto che nella chiesa di Kildare – da cill dare, “Chiesa della Quercia” – le diciannove monache devote alla santa mantenevano un fuoco perennemente acceso e alimentato dal legno di quercia. Inoltre, quest’albero si lega anche ad un’altra Dea celtica, vale a dire Cerridwen, la Divina Scrofa e anziana maestra, custode del Fuoco del Calderone. Infatti, i maiali e i cinghiali, a Lei sacri, sono ghiotti di ghiande. I popoli celtici ritenevano anche che quest’albero fosse la dimora delle driadi, spiriti della natura che vivono in simbiosi con le piante, tanto che il loro destino è ad esse legato. Nell’antica Grecia, la Quercia era sacra a Dione, una delle Grandi Madri dell’area mediterranea, spesso associata alla titanide Rea, Signora degli animali selvaggi e delle piante (Potnia Theron). Dione, chiamata anche Dia (“del cielo”) era la protettrice della città di Dodona, famosa per il suo oracolo, che si trovava proprio in una Quercia. Tre sacerdotesse fornivano i responsi parlando dall’interno del tronco di quest’albero. Esse erano dette peleiades, cioè “colombe”, poiché si credeva fosse stata una colomba a posarsi sulla Quercia e a comunicare che lì sarebbe dovuto sorgere un oracolo. Solo successivamente questo culto fu inglobato dalla cultura patriarcale in quello tributato a Zeus, Dio della folgore e del fuoco celeste.

A Roma la Quercia era associata alla regalità, tanto che corone fatte con le sue foglie erano offerte al re, il quale così incarnava simbolicamente lo spirito della pianta. Il ramo d’oro descritto da Frazer proveniva da quest’albero e indicava la legittima sovranità del re-sacerdote, il quale incarnava lo spirito della vegetazione. Il rito dell’uccisione del re Quercia era presente non solo nel bosco sacro di Ariccia e Nemi, ma anche presso le popolazioni celtiche, le quali ritenevano che la morte del vecchio sovrano avrebbe garantito la fertilità della terra e il nutrimento per gli uomini. Sempre a Roma, il tempio della Dea del Fuoco Vesta sorgeva all’interno di un bosco di Querce. Le sacerdotesse mantenevano perennemente accesa la fiamma, alimentandola con il legno di questa pianta, similmente a come avveniva presso i Celti con la Dea Brigid. La Quercia è simbolo dell’immortalità dell’anima e della vita eterna. Il culto arcaico dedito a quest’albero fu poi inglobato nel Cristianesimo: la Madonna ne divenne la protettrice e la tradizione del fuoco sacro acceso col suo legno rimase nell’usanza del ceppo natalizio. La Quercia è l’antenata sacra che visse al tempo dell’origine e vivrà oltre quello della fine, a testimoniare la rinascita. Tutta l’esistenza è in essa contenuta, la sua memoria conserva l’intera vita.

Sambuco

Il Sambuco è molto amato dalle fate e dalle creature del Piccolo Popolo ed è legato alla Grande Madre, di cui incarna l’essenza femminile. Infatti, i tre colori di quest’albero sono connessi ai volti della Dea: il bianco dei fiori alla Fanciulla, il verde rigoglioso delle foglie alla Madre e il nero delle bacche alla Crona saggia. Soprattutto quest’ultima è sempre stata considerata nelle tradizioni popolari l’aspetto del Femminino Divino maggiormente legato all’essenza del Sambuco, tanto che si pensava che questa pianta fosse in realtà una strega trasformata. Così, il Sambuco fu associato alla magia, all’oscurità, alla divinazione, al viaggio nell’Oltretomba e alla morte. Si credeva che, addormentandosi sotto quest’albero, una persona potesse essere trasportata nel regno dei morti. Esso fu associato alla morte, alla rigenerazione, alla fine di un ciclo, alle iniziazioni. Presso i Celti veniva chiamato “Oscura Signora” o “Madre Sambuco” e presso i Germani “Albero di Holle”. Holle è la Regina delle fate della tradizione nordica e, secondo le leggende, ella abita proprio questa pianta e può presentarsi sia nelle sembianze di una bellissima fanciulla dai capelli d’oro, sia come orribile e vecchia strega. Questi due aspetti della Dea rispecchiano i suoi due volti: da un lato la splendente Madre, dall’altro l’oscura Signora, Regina del regno dei morti. Nelle fiabe dei fratelli Grimm, Holle appare come una vecchina dalle lunghe zanne e rappresenta la madrina nutrice delle fanciulle e loro iniziatrice.

Gli elfi amano molto il Sambuco e sono soliti intrattenersi nei suoi rami. Nella magica notte di mezz’estate sono soliti danzare intorno ad esso. Infatti, in Svezia si dice che, se ci si nasconde sotto il Sambuco durante quella notte, si può vedere il corteo fatato del re degli elfi e della sua corte. Si riteneva inoltre che il succo della corteccia potesse donare la seconda vista, quella sottile, grazie a cui poter entrare in contatto con le creature fatate. I rami erano utilizzati nella costruzione dei flauti, il cui suono era ritenuto in grado di attirare le fate. Presso i Celti, quest’albero era piantato vicino alle abitazioni come protezione dai malefici e dai serpenti. Le famiglie si prendevano cura dell’albero per ottenere la benevolenza delle fate che lo abitavano, le quali così avrebbero garantito la loro protezione. Per questo motivo non si poteva tagliare il Sambuco, né soprattutto bruciarlo, altrimenti la Dea si sarebbe adirata. L’essenza di questa pianta è mutevole poiché in essa si fondono il volto della Strega oscura e della Fata luminosa. Il suo dono è la Visione, la magia che fa rompere il velo dell’illusione e permette la conoscenza dei regni sottili. Tuttavia, perché ciò sia possibile, è necessario passare attraverso un’iniziazione che mette in contatto con la morte. Essa, però, è vista come la porta verso una nuova vita e la rigenerazione. Il dono del Sambuco è perciò quello di una nuova consapevolezza che porta alla conoscenza. Chiudendo gli occhi e affidandoci al suo potere, nel suo fusto potrebbe apparire una piccola entrata, che conduce nel viaggio incantato verso l’altro mondo. Il Sambuco guida i coraggiosi he scelgono di intraprendere il cammino, proteggendoli con la sua potente essenza.

Sorbo

Il Sorbo è l’albero dell’ispirazione, dell’intuizione proveniente dalla voce del cuore. Il suo nome celtico significa “fiamma” e proprio questa lingua di fuoco ne delinea l’essenza solare eppure delicata. E’ uno degli alberi sacri alla Dea Brigid, la custode della Triplice Fiamma, che comprende anche il Fuoco dell’ispirazione. Soprattutto l’arte poetica, visto che questa pianta era cara ai bardi per la sua capacità di aprire la percezione dei regni sottili e delle voci degli spiriti. Esso favorisce l’apertura dell’occhio interiore e la visione, motivo per cui era considerato l’albero della divinazione. Il Sorbo è l’albero della consapevolezza e della conoscenza, ma anche della rinascita della vita dopo la morte, della rigenerazione dopo l’inverno. Esso vive a cavallo dei mondi, è la nuova nascita dopo il viaggio nell’oltretomba. Per questi motivi in Scozia veniva bruciato nelle cerimonie funebri.

Il Sorbo è uno degli alberi da cui si ricavano le bacchette magiche ed è molto caro agli spiriti elementali, particolarmente alle fate. Inoltre, è una pianta di protezione, che allontana qualsiasi sgradita presenza. Il Cristianesimo incorporò la sacralità del Sorbo al suo interno, conservandone le caratteristiche magiche e sottili. Si riteneva che esso proteggesse dagli spiriti malvagi e dagli spiritelli della natura, dalle streghe e dal malocchio. I suoi rami venivano appesi in fasci nei granai per preservarli dai fulmini. E’ ancora oggi usanza popolare quella di costruire delle croci di rami di Sorbo e di appenderle nelle case o nelle stelle come protezione e per favorire la buona sorte. In Scozia le donne erano solite costruire delle collane di bacche per difendersi dalla stregoneria oppure se ne appuntavano un rametto al seno contro i brutti incontri.

La protezione del Sorbo non è restrittiva poiché agisce ampliando la nostra visione interiore e offrendoci la fiamma dell’intuizione e della chiarezza nata dall’apertura dei sensi e della percezione. Il Sorbo dona la consapevolezza dovuta alla conoscenza dell’essenza sacra di ogni cosa e di se stessi. Insegna il discernimento e dà la visione delle realtà false e illusorie. Ci ispira la sacra arte e a mantenerci aperti al Divino.